sabato 20 marzo 2010

Lecce, a Reggio la rinascita

di Matteo Marchello

Venerdì sera allo stadio Granillo di Reggio Calabria in tabellone era previsto l'anticipo di serie B tra la squadra di casa, la Reggina, ed il Lecce. In realtà quello a cui gli spettatori hanno assistito non è stata una partita di calcio, ma lo spettacolo teatrale “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”: il celebre romanzo di Stevenson in cui il mite dottore che di giorno esercita la sua professione e di notte diventa un feroce assassino che terrorizza la città di Londra. Nel romanzo la mutazione avviene a seguito dell'assunzione di una pozione magica, realizzata dallo stesso dottore per acquisire maggior carattere e personalità, di cui sente la mancanza nella sua vita ordinaria e monotona; la mutazione giallorossa avviene, invece, tra primo e secondo tempo, grazie ai correttivi di De Canio, stufo di vedere il solito Lecce che nelle ultime 6 partite prima di Reggio aveva raccolto 1 vittoria 4 pareggi e l'umiliante sconfitta interna con in Cittadella.
Il Lecce iniziava la partita, infatti, con una formazione schierata con un modulo diverso dal 4-3-3 che ha fatto le fortune di questa stagione, ovvero un 4-4-2 più quadrato, con Belleri e Mazzotta terzini, Angelo e Mesbah ali di centrocampo, e la coppia d'attacco composta da Baclet e Marilungo; questa sperimentazione non dava i frutti sperati, tanto che era la Reggina a rendersi più pericolosa dopo il calcio d'inizio con 2 conclusioni prima di arrivare al gol con Barillà; il Lecce vedeva i fantasmi delle ultime prestazioni e non riusciva a reagire in nessun modo.
Il primo tempo finiva con il cambio di Mazzotta per Munari senza nemmeno aspettare l'intervallo, episodio che assomigliava tanto a una bocciatura tanto per l'esterno palermitano quanto per il nuovo modulo, incapace di dare la giusta scossa alla squadra.
Il ritorno al 4-3-3 e la sicura strigliata di De Canio negli spogliatoi trasformavano la docile squadra salentina in un'altra completamente diversa: cattiva e affamata di punti, la cui essenza si incarnava in Guido Marilungo, autore di una tripletta, che insieme al gol del sorpasso di Angelo, e a quello, inutile, di Cacia, chiudeva la partita sul 4 a 2 finale.
Il Lecce visto in Calabria nel primo tempo è sembrato una squadra convalescente, che aveva sul corpo ancora le cicatrici della batosta con il Cittadella, dimostrando di essere incapace ad attaccare ed essere pericolosa,tanto da non aver mai tirato in porta; nella seconda frazione, invece, è scesa in campo la squadra schiaccia-sassi della parte centrale del campionato, capace di creare bel gioco, segnare 4 gol mostrando una superiorità manifesta nei confronti di una Reggina che, ignara della metamorfosi giallorossa avvenuta negli spogliatoi, è stata annichilita più che sconfitta, ed ora vede lo spettro della retrocessione in prima divisione.
Malgrado il risultato e la dimostrazione di forza dei secondi 45 minuti, De Canio deve, tuttavia, interrogarsi sulle motivazione dell'approccio da incubo alla partita, e sull'opportunità di sperimentare nuove soluzioni tattiche allorquando è stato appurato che il 4-3-3 è il modulo migliore per gioco espresso e punti conquistati, e sebbene il campionato sia ancora molto lungo, un eventuale ulteriore cambio di modulo potrebbe costare punti pesanti, fondamentali per l'obiettivo promozione.

martedì 16 marzo 2010

Lecce - Cittadella: colpa di chi?

di Vittorio Murra

La cittadella del gol verrebbe da dire, reti confezionate ad arte per una squadra che - prima della gara di Lecce - guardava i sei punti che la separavano dalla lega pro, e che oggi guarda invece ai sette che la distanziano proprio dalla capolista.
I giallorossi si affacciavano al match coi veneti pregustando un piatto al sapore di "vendetta", con i salentini feriti nell’orgoglio per il 3-0 subito all’andata: un risultato netto, che - come oggi - aveva imposto uno stop dopo gli undici punti conquistati. Stop che poi ha permesso alla squadra di De Canio di dare una svolta alla classifica e alla stagione, ridimensionando in lungo e largo obiettivi e pretese. Oggi, di positivo dopo i cinque gol incassati dalla squadra di Foscarini, ci sono gli stessi undici punti del ritorno. Preludio, forse, di altri cambiamenti ed altri obiettivi da raggiungere. Magari sempre gli stessi, magari quelli previsti ad agosto, quando la calura imponeva di tenere ben saldi i piedi nell’acqua per placare i bollenti spiriti di una retrocessione amara e di un avvenire dal basso profilo.
Mister De Canio ha tirato fuori da quel 3 ottobre 2009 tutti i conigli dal cilindro, spedendo in orbita una squadra dalle potenzialità dubbie e dalla concentrazione instabile. La continuità dei risultati, e la poca propensione alla sconfitta – sono solo sei le gare senza punti dei giallorossi, meglio ha fatto solo il grosseto con cinque – hanno reso i giallorossi come quel coltello che quando entra lacera e quando esce strappa. Ed il Lecce, affondando la lama, ha lacerato una serie B che ai nastri di partenza lo vedeva sofferente, ma poi al primo cedimento delle forze la lama esce e strappa l’ambiente illuso, forse, da un primato conquistato solo dalla saggezza dell’allenatore. Allenatore che nel perdere malamente una gara, nella quale tutti si aspettavano la rottura dell’incantesimo del pareggio, decide di addossare su di sé tutte le colpe, fungendo da parafulmine in un campo di pali.
Colpa mia, dice De Canio, perché ho mandato in campo quella formazione, quei calciatori con quel modulo. Colpa di tutti allora, se i criteri di scelta sono sempre basati sulla meritocrazia, sunto di una serie di comportamenti settimanali di atleti non ancora uomini né calciatori, evidentemente. Colpa di tutti, perché chiunque, con un po' di professionalità avrebbe messo in campo gli stessi undici, meritevoli forse di giocare, non di subire una così netta umiliazione. O forse si.
Il problema non si focalizza più sulle caratteristiche dei calciatori in rosa, dove - ad esempio - il mancato pressing e la poca dimestichezza nel fraseggio in velocità si spiegano solo col fatto che non sono queste le qualità della rosa a disposizione. L'obiettivo deve essere centrato, quindi, sulla testa o nella testa: quando non si raddoppia la marcatura, quando il compagno non aiuta più quello in difficoltà, non recupera dopo un suo intervento sbagliato, quando la squadra non riesce ad essere corta ed una volta pressata ricorre al lancio lungo, evidentemente qualcosa non va. Manca di tranquillità, di personalità e probabilmente di una paternale da parte di chi ogni giorno gli dà da mangiare.

martedì 2 marzo 2010

C'è un Mister X e non è De Canio


L’avremmo voluto definire l’uomo nero, ma la tendenza del momento impone di chiamarlo Mister X, che non è mister pareggio, il riferimento non va a De Canio, ma vuole essere un nomignolo che vuol racchiudere al suo interno una persona, forse più di una, un concetto, un modo di essere, una lobby che cerca in tutti i modi di svalutare il lavoro svolto con profitto dal mister, inteso questa volta come l’allenatore.
Sono le sirene d’allarme che ci impongono di porre l’accento su di una situazione che evidentemente ha toccato il punto più alto della sua criticità. Il botta e risposta fra il presidente Semeraro e l’allenatore De Canio che se le mandano a dire attraverso la carta dei giornali, le dichiarazioni rilasciate in tv dal giornalista Stefano Meo, ed una serie di odori nell’aria che si diffondono dopo ogni punto perso dalla squadra, persino, in maniera più leggera, dopo ogni vittoria, per quanto roboante.
Una situazione paradossale, che probabilmente non trova una logica spiegazione, per lo meno non nella logica dello sport, unita sia pure a quella degli affari che con esso convivono nell’assurdo mondo del pallone.
Cosa deve fare un allenatore per entrare nelle grazie di una Società se non dominare un campionato, e magari farlo dopo una spesa di appena un milione di euro? Forse De Canio dovrebbe imparare dai maestri delle promozioni, da chi ha l’arte nelle mani e il vuoto nei portafogli. Da chi compra facile e lascia la mancia, e da chi vince a stento il campionato occupato com’era a scriversi il prolungamento del contratto.
Sono strani giochi di potere che giovano a pochi, e che confondono le idee a tutti gli altri. Uno strano mondo quello del calcio, dove la società non difende mai il proprio allenatore, o meglio non difende questo allenatore. Nessun gabbiotto per lui. Nessuna difesa precostituita, ma nemmeno guadagnata. Come se De Canio non fosse una scelta voluta, come se De Canio fosse un bastone raccolto per strada dai raggi di una ruota. Come se De Canio fosse l’allenatore giusto, con le idee sbagliate.

lunedì 1 marzo 2010

Numeri che condannano i corvacci

di Vittorio Murra

XXX!!! Rob Cohen ci ha fatto un film di successo, mentre De Canio dopo tre pareggi consecutivi stenta a strapparci un paio di applausi. È il destino beffardo di chi ha trasformato l’acqua in vino, e di chi assaggiandolo per sminuire il prodigio lo sputa e lo chiama Tavernello. Come se la trasformazione non fosse sempre straordinaria. E adesso si scatenano, i tecnici del Salento o poco più in là, a beccare De Canio sul tridente azzardato o sui cambi in ritardo. Come se fosse l’errore pacchiano di un dilettante qualsiasi e non la scelta coraggiosa di chi non ne ha mai sbagliata una fino oggi. La memoria è corta e la gente dimentica, quanto difficile ed in salita è stato l’inizio. Quanto ha desiderato e sognato un Lecce senza Angelozzi. Quanto ha desiderato e sognato un Lecce primo in classifica. Desiderato e sognato un Lecce pieno di novità, di giovani promesse e belle speranze. Desiderato di svegliarsi da un incubo senza fine, sognato di svegliarsi e scoprire che la realtà è diversa. E la realtà è diversa. La realtà snocciola dei numeri tanto cari ai più che non lasciano spazio alle interpretazioni: 41 reti fatte e miglior attacco della categoria, 27 reti subite e terza difesa del campionato. Lo scarto è di 14 gol, per la serie “ce l’abbiamo noi la coperta corta più lunga”. Ci sarebbe il Cesena, ad onor di cronaca, che con 17 reti di scarto avrebbe una coperta che copre da capo a piedi; ma poi le segnature sono solo 33 e quindi scopri che esulti di meno. Numeri che incoronano il Lecce come la squadra più continua nonostante di continuo in formazione ci sia solo il costante cambio degli interpreti. Una squadra che ha fatto a meno di Marilungo, Baclet e Defendi in attacco; che si è privata di Mesbah per tutta la parte iniziale; che ha ruotato Terranova, Schiavi, Fabiano e continua a farlo. Una squadra che non ha ancora trovato la quadratura ideale che è soggetta spesso alle bizze di gioventù e su queste costruisce il suo futuro.
Tutto quello che manca a questa squadra non è certo il bomber, che pure è stato richiesto da De Canio, ma non è stato accontentato; ciò che più manca è l’affetto, quello si, di una piazza che pretende ancora di più; la competenza e la professionalità di addetti ai lavori che non avranno mai affetto per questa squadra, ma solo interessi per camparci ancora un altro po', con la bava alla bocca.