martedì 16 marzo 2010

Lecce - Cittadella: colpa di chi?

di Vittorio Murra

La cittadella del gol verrebbe da dire, reti confezionate ad arte per una squadra che - prima della gara di Lecce - guardava i sei punti che la separavano dalla lega pro, e che oggi guarda invece ai sette che la distanziano proprio dalla capolista.
I giallorossi si affacciavano al match coi veneti pregustando un piatto al sapore di "vendetta", con i salentini feriti nell’orgoglio per il 3-0 subito all’andata: un risultato netto, che - come oggi - aveva imposto uno stop dopo gli undici punti conquistati. Stop che poi ha permesso alla squadra di De Canio di dare una svolta alla classifica e alla stagione, ridimensionando in lungo e largo obiettivi e pretese. Oggi, di positivo dopo i cinque gol incassati dalla squadra di Foscarini, ci sono gli stessi undici punti del ritorno. Preludio, forse, di altri cambiamenti ed altri obiettivi da raggiungere. Magari sempre gli stessi, magari quelli previsti ad agosto, quando la calura imponeva di tenere ben saldi i piedi nell’acqua per placare i bollenti spiriti di una retrocessione amara e di un avvenire dal basso profilo.
Mister De Canio ha tirato fuori da quel 3 ottobre 2009 tutti i conigli dal cilindro, spedendo in orbita una squadra dalle potenzialità dubbie e dalla concentrazione instabile. La continuità dei risultati, e la poca propensione alla sconfitta – sono solo sei le gare senza punti dei giallorossi, meglio ha fatto solo il grosseto con cinque – hanno reso i giallorossi come quel coltello che quando entra lacera e quando esce strappa. Ed il Lecce, affondando la lama, ha lacerato una serie B che ai nastri di partenza lo vedeva sofferente, ma poi al primo cedimento delle forze la lama esce e strappa l’ambiente illuso, forse, da un primato conquistato solo dalla saggezza dell’allenatore. Allenatore che nel perdere malamente una gara, nella quale tutti si aspettavano la rottura dell’incantesimo del pareggio, decide di addossare su di sé tutte le colpe, fungendo da parafulmine in un campo di pali.
Colpa mia, dice De Canio, perché ho mandato in campo quella formazione, quei calciatori con quel modulo. Colpa di tutti allora, se i criteri di scelta sono sempre basati sulla meritocrazia, sunto di una serie di comportamenti settimanali di atleti non ancora uomini né calciatori, evidentemente. Colpa di tutti, perché chiunque, con un po' di professionalità avrebbe messo in campo gli stessi undici, meritevoli forse di giocare, non di subire una così netta umiliazione. O forse si.
Il problema non si focalizza più sulle caratteristiche dei calciatori in rosa, dove - ad esempio - il mancato pressing e la poca dimestichezza nel fraseggio in velocità si spiegano solo col fatto che non sono queste le qualità della rosa a disposizione. L'obiettivo deve essere centrato, quindi, sulla testa o nella testa: quando non si raddoppia la marcatura, quando il compagno non aiuta più quello in difficoltà, non recupera dopo un suo intervento sbagliato, quando la squadra non riesce ad essere corta ed una volta pressata ricorre al lancio lungo, evidentemente qualcosa non va. Manca di tranquillità, di personalità e probabilmente di una paternale da parte di chi ogni giorno gli dà da mangiare.

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