sabato 23 maggio 2009

Intervista a Claudio Fenucci, a.d. Us Lecce

Partiamo forte. Come mai la scelta di accettare questo insolito confronto? Avete la sensazione di aver perso il contatto con la tifoseria?
Non credo. Sono amministratore delegato del Lecce dal 1996 ed in tutti questi anni in città mi è spesso capitato di incontrare i tifosi e fermarmi a discutere con loro. Non c'è nessuna chiusura. Se qualcuno vuole parlare con noi la porta della sede è sempre aperta. Spesso anche gli intervalli delle mie lezioni universitarie erano punto di scambio di opinioni sul calcio. La società sportiva è particolare, gestisce emozioni e per questo, a differenza di ogni altro settore richiede che i suoi dirigenti si prestino, per quanto è possibile, a spiegare fatti e strategie. In questo momento è opportuno, comunque, mantenere la calma. C'è grande amarezza per la retrocessione ed è necessario ragionare lucidamente sul futuro anche confrontandosi con la tifoseria senza però preconcetti o posizioni rigide.
I tifosi hanno bisogno di sentire la vostra voce, di sapere i vostri progetti e le vostre sensazioni. Anche le più banali. È auspicabile che un rapporto del genere sia più assiduo dei precedenti?
La disponibilità è completa. Anche in passato ci sono stati momenti in cui si è discusso, anche vivacemente; il problema che il confronto richiede la presenza di qualcuno che sintetizzi le posizioni dell'altra parte. Per quanto riguarda l'immediato futuro, presto il presidente illustrerà gli obiettivi e le strategie per la prossima stagione.
La retrocessione è acquisita, manca solo la condanna matematica. Ritiene che la società abbia fatto il possibile per restare in serie A?
La società ha tentato, per quanto è stato possibile, di seguire una strategia in questi anni. La nostra può riassumersi, fino ad oggi, semplicisticamente così: squadre competitive in serie B e graduale abbassamento della età con lancio di giovani in A, cercando di mantenere stabilmente la categoria. Ad inizio della stagione era stato deciso di confermare la rosa che aveva vinto, dominandolo con le altre, il campionato di B. Gli acquisti avrebbero dovuto garantirci quel salto di qualità necessario per la permanenza; il tutto con un occhio al bilancio che, in sede di budget, stimava una perdita giudicata sostenibile dalla proprietà. Anche io ritenevo che la rosa fosse molto competitiva e penso ancora oggi che la nostra squadra, per come messa in campo nelle recenti partite, non fosse inferiore alle altre 6 o 7 che si giocano la salvezza. Tra le cause dell'andamento negativo della stagione ce n'è una riconducibile alla preparazione fisica, visto che c'è stato un calo generalizzato di forma durato diversi mesi, e una alla rosa dei calciatori perché qualcuno, soprattutto tra i nuovi, ha reso, secondo me, molto meno delle aspettative.
Le sviste arbitrali hanno condizionato pesantemente il nostro campionato. Si grida al complotto e sul nostro forum si auspica di mandare in campo gli allievi nazionali. Sarebbe una bella presa di posizione, l'ennesima da parte vostra.
La rabbia e lo sdegno dei tifosi è il nostro. Però bisogna evitare di prendere posizioni che attraverso squalifiche o penalizzazioni possano pregiudicare i campionati futuri.
Anche lei ritiene che la probabile retrocessione in serie B sia frutto delle famose "sviste" arbitrali? Ci saranno pure delle colpe da ricondurre al vostro operato.
La retrocessione è frutto di fattori e responsabilità comuni a noi, al direttore sportivo, al precedente staff tecnico e ai giocatori. Sicuramente però nel finale di campionato, da Cagliari in poi, quando le possibilità di salvezza erano intatte una sequenza impressionante di errori arbitrali, mai vista in tutti questi anni, ci ha impedito di giocarcela fina all'ultima giornata; con quattro o cinque punti in più, quelli che ci hanno tolto, ci saremmo salvati.
Pensa invece che la campagna acquisti condotta dal DS Angelozzi sia stata all'altezza della situazione? Ricordiamo anche la discordanza tra le richieste del presidente Semeraro, e gli acquisti effettivi portati a termine.
Le strategia di fondo era quella descritta prima. Nella squadra che aveva vinto con pieno merito lo scorso campionato erano stato inseriti i migliori attaccanti delle ultime stagioni di B, due centrocampisti e un difensore come Stendardo, con esperienza della categoria. Probabilmente abbiamo pagato anche il gap tecnico esistente tra serie A e B perché il tasso di qualità della categoria cadetta è sensibilmente inferiore al passato, più vicino alla C che alla A. I molti punti persi nel finale sono forse legati a questo aspetto. A gennaio effettivamente il Presidente avrebbe voluto l'arrivo di calciatori italiani ma, evidentemente, non è stato possibile. Il sacrificio economico fatto per acquistare Edinho ne è la prova, e tra l'altro, come ogni operazione era stata concordata dal direttore sportivo con lui.
Al direttore sportivo Guido Angelozzi è stato rinnovato il contratto per meriti, avendo ottenuto lo scorso anno la promozione in serie A. A rigor di logica, quest'anno dovrebbe avvenire l'esatto opposto.
Il direttore sportivo è un elemento importante di una società ma non è l'unico responsabile dell'andamento positivo o negativo di un campionato. In linea generale penso che qualsiasi direttore sportivo debba compiere le sue scelte in perfetta sintonia con le indicazioni dell'allenatore, se sono realizzabili. Un altro degli errori commessi all'inizio, infatti, è stato quello di inseguire un progetto tecnico che non poteva essere compiuto; tutto si basava su un calciatore che, nonostante l'offerta di un contratto da oltre 800mila Euro netti, con un costo per la società di 1,5 milioni di Euro, ha preferito rimanere al precedente club. Alla fine si è creata un po' di confusione sui moduli di gioco, ci siamo ritrovati con troppi calciatori e questo ha generato sicuramente qualche problema di gestione. Se il sistema calcio fosse meno esasperato dalla ricerca del risultato immediato si potrebbe pensare ad una evoluzione del ruolo dell'allenatore verso una figura all'inglese, più completa con indubbi vantaggi nella realizzazione delle strategie societarie, ma al momento mi sembra un passaggio prematuro.
Per quale motivo, da quando Corvino è andato a Firenze, il Lecce non è più riuscito ad avere un settore giovanile all'altezza della situazione? Perché la Primavera è stata riempita di prestiti, tra l'altro di poco talento, e non è stata rinforzata con calciatori provenienti da scuole calcio locali?
Non siamo sicuramente soddisfatti dell'andamento di alcune cose avvenute nel settore giovanile. Ma è stato un anno di transizione; il nuovo responsabile Minguzzi è arrivato molto tardi e purtroppo non ha potuto lavorare con i giusti tempi. Se vediamo però la nostra storia recente non posso non rilevare che in tutti questi anni solo due ragazzi salentini sono arrivati ai massimi livelli giocando con continuità, Esposito e Pellè. Tutti gli altri sono ancora in formazione in società di C e, tranne Fabrizio, non mi sembra che ci siano particolari talenti nati in loco in giro per l'Italia. Questo ci deve far riflettere sul processo di selezione e di scouting da adottare. Inoltre, non bisogna dimenticare come l'attività del settore giovanile, poi, sia ciclica. La parte portante di una primavera è fatta dagli allievi dei due anni precedenti che sono i giovanissimi del passato biennio; le rose non si fanno e si disfano ogni anno come per la prima squadra. La formazione dei calciatori, poi, oltre che dalla qualità innata delle risorse nasce anche dalla bravura dei dirigenti, degli allenatori, dei medici e dei preparatori a disposizione e anche qui stiamo cercando di ricostruire, nel tempo, uno staff adeguato. Però, pur nelle difficoltà della primavera qualche lampo di luce, con un paio di ragazzi, si è visto.
In tanti anni di gestione Semeraro, sono stati effettuati molti investimenti, in passato fruttuosi, oggi infelici. Cos'è mancato al Lecce per trasformarsi da una piccola di passaggio, in una piccola con ambizioni da serie A? Si guarda ai due diversi modelli: Udinese e Atalanta.
Parlare di investimenti nel calcio è, mi scusi, improprio. Si generano perdite per inseguire un progetto sportivo. La mission delle società di calcio dovrebbe essere quella di raggiungere il massimo risultato sportivo nell'ambito delle risorse disponibili indicate dalla proprietà. Anche nelle stagioni precedenti ci sono state annate difficili, se si pensa che nel biennio 2001/03 la nostra società ha registrato perdite per 29 milioni di euro. Spesso si confonde la correttezza dei bilanci, il rispetto degli impegni con il fatto che i conti siano in equilibrio, cioè che si spenda quanto si incassi; in realtà nel nostro caso, come abbiamo più volte detto, l'azionista ha immesso capitali per oltre 65 milioni di Euro e tutto ciò è facilmente riscontrabile vista la pubblicità dei documenti contabili. Il dato è talmente grande che qualcuno fatica a crederci ma nella realtà, purtroppo, è così. Tutti ricordano le tre o quattro cessioni importanti ma non sanno che in tredici anni abbiamo acquistato calciatori per più di 170 milioni di euro. Sui giovani, nel passato, il processo di ricerca e formazione ha dato dei risultati eccezionali, ma molto era basato sulla capacità di Corvino di trovare questi talenti fuori. Per il futuro abbiamo intenzione di costruire una nostra rete qualificata di osservatori in grado di rilanciare una progettualità simile a quella felicemente sperimentata negli scorsi anni.
Ci si chiede se c'è ancora nella società la voglia di provare ad attuare un progetto simile. Se la famiglia Semeraro ha ancora fame di calcio. Qualcuno vi ha anche suggerito di vendere, e magari agli arabi.
La scelta è ovviamente legata alla volontà della famiglia. C'è, rispetto al passato, un fatto nuovo, oggettivo; bisogna considerare, infatti, che il crollo delle economie globali e dei mercati finanziari ha drasticamente ridotto le risorse a disposizione per il calcio, lo dico con cognizione visto che mi occupo professionalmente della gestione degli asset patrimoniali del gruppo. La passione del presidente rimane intatta, lo vedo da come, purtroppo, soffre durante le partite. Per gli altri scenari il discorso è lungo, ci sarebbe da chiedersi dove sia il tessuto economico salentino, visto che tutti, a parole, sostengono che la squadra è un fortissimo veicolo di promozione del territorio; la famiglia Semeraro era proprietaria del 32% della Banca 121 venduta al Monte Paschi, nell'altro 68% c'erano imprenditori importanti, molti altri hanno avuto lavoro dalle istituzioni locali, dove sono stati in questi anni? Nessuno si è mai fatto avanti. Sì è mossa la provincia con il marchio d'area, perché il pubblico, con un progetto intelligente, può surrogare il privato, il sindaco è stato disponibile ma non può far molto per lo stadio e poi? Quando si parla del Salento dietro la squadra, è vero per la passione dei tifosi, ma altro non c'è. Vi do qualche elemento: in A quello che producono le aziende locali come sponsorizzazioni e pubblicità è inferiore a quanto incassa un medio club di B del nord; a livello nazionale siamo considerati la regione che genera meno ritorni per gli investimenti pubblicitari. Questo deve far riflettere sul futuro; se il sistema calcio sta cercando di raggiungere criteri di equilibrio economico, i dati su queste tipologie di introiti uniti a quelli delle presenze allo stadio creano forti preoccupazioni. In passato, ripeto, ci sono stati momenti in cui si è cercato seriamente, anche attraverso intermediari specializzati, qualcuno che subentrasse ma senza risultato. E le assicuro non è stato mai un problema di prezzo, qualcuno vedeva i bilanci passati e andava via. Le società di calcio sono realtà particolari, producono perdite, si entra senza sapere quando e come si può uscire.
Col modello Atalanta ci abbiamo provato anche nel dopo Corvino, ma è indubbio che servono delle capacità notevoli per individuare il talento in un ragazzo di 12-13 anni. Guardando al modello Udinese invece ci possono essere delle difficoltà di base che non permettono al Lecce di attuare questo tipo di modello? Potrebbe essere relativamente più semplice lavorare su ragazzi di 20 anni?
L'Udinese ha sviluppato nel tempo una presenza costante all'estero, con ampie risorse a disposizione necessarie per acquisire i vari calciatori mantenendoli nei rispettivi campionati in attesa che si valorizzino; il fatto che la famiglia proprietaria abbia il centro delle proprie attività finanziarie ed economiche all'estero agevola molto questo tipo di organizzazione.
Restituire Lecce ai leccesi è impossibile? Eppure Petrachi ha dimostrato di saperci fare avendo a disposizione poche liquidità. Per non parlare poi di Checco Moriero che fra Crotone e Lanciano ha compiuto due miracoli. Insomma le risorse interne non sembrano essere meno competitive delle attuali. Senza dimenticare chi, come Pasculli, si è offerto di fare da osservatore per i paesi del Sudamerica.
Petrachi e Checco Moriero sono due professionisti con un futuro davanti e non è da escludere che, prima o poi, possano trovare una collaborazione con il Lecce. Ma ritengo che il senso dell'appartenenza possa essere sviluppato anche da persone non nate in questo territorio. Penso a tutti i calciatori o ad allenatori non salentini che sono rimasti nel cuore della tifoseria.
Come si spiega l'eccessiva repressione adottata dai due diversi questori di Lecce all'interno del nostro impianto sportivo, quando poi negli altri stadi le stesse norme non vengono applicate. I nostri tifosi sono continuamente vessati per ogni piccolezza. La società cosa può fare per diminuire questa pressione?
La applicazione non uniforme delle norme è stata più volte segnalata agli organi ministeriali, come abbiamo anche rimarcato le problematiche di ordine pubblico nate in determinate partite. Non dobbiamo però dimenticare lo spirito della norma: l'obiettivo è eliminare ogni tipo di violenza o istigazione a questa dagli stadi; non credo che le attuali norme siano quelle più opportune allo scopo ma queste sono.
A parte queste discutibili leggi antiviolenza, a cosa attribuisce la desolazione sugli spalti alla quale ogni domenica siamo costretti ad assistere?
Il calo degli spettatori è un trend generalizzato a livello nazionale. Siamo scesi dal 1° al 4° posto in Europa per presenze medie. Le ragioni sono molte, alcune comuni altre peculiari della nostra situazione: la diffusione ormai capillare del sistema della pay tv che in una provincia estesa come la nostra diventa un forte deterrente; la scomodità dello stadio; la situazione economica che rende difficile per molte famiglie frequentare con continuità gli spalti; una certa assuefazione al calcio di vertice che naturalmente si genera dopo qualche anno.
Spesso si fanno delle banali proporzioni, e ci si chiede se non valga la pena riempire lo stadio con prezzi di biglietto o abbonamento "ridicoli" per ottenere alla fine gli stessi guadagni degli ultimi tempi, ma con uno stadio pieno.
La nostra esperienza suggerisce che solo forti riduzioni del prezzo dei biglietti riescono a determinare incrementi significativi di presenze. E' sempre un problema di competitività relativa. Se a Catania, Bologna, Torino ecc. ricavano attualmente dalla vendita dei biglietti e abbonamenti il doppio di quello che produciamo noi significa che possono alzare il livello della competizione spendendo o acquistando un calciatore in più. Non dimentichiamo che tutte le risorse che si incassano servono per finanziare l'attività sportiva.
Quanto contano per l'US Lecce i tifosi?
Il calcio viene fatto per i tifosi. Un settore dove si perdono montagne di soldi trova una spiegazione solo se riesce a generare emozioni collettive in grado di durare nel tempo. Fortunatamente in questi anni qualche volta c'è riuscito, 8 anni di A su 13 non sono pochi, avremmo voluto fare di più ma non è stato possibile. Errori sicuramente ne avremo commessi. Un merito vorrei però che ci fosse riconosciuto, siamo riusciti a tener fuori il club da tutto ciò che di brutto è avvenuto nel calcio: dal doping, dalle fideiussioni false, dai passaporti taroccati e dall'enorme schifo di calciopoli, costruendo una società che è, nel settore, ritenuta un modello di organizzazione.
Non pensa che se all'interno di una tifoseria affiora un pensiero comune alla totalità delle persone, questo debba per forza di cose essere preso in considerazione? In poche parole, una società di calcio, ha il dovere di prendere in considerazione una unanime richiesta popolare, e quindi fare di conseguenza scelte popolari piuttosto che scelte societarie?
I diversi punti di osservazione sono importanti e gestire un club rende necessario percepire le sensazioni dei tifosi, senza restarne, però condizionati. Ci sono casi, in passato, in cui la voce della tifoseria premeva per scelte che sarebbero state sbagliate, per esempio le contestazioni a Rossi e Sonetti, altre volte invece sarebbe stato più opportuno seguirne gli umori. In generale, fino a quando le società sportive saranno strutturate in s.p.a. con azionisti che rispondono economicamente e socialmente delle proprie scelte, il coinvolgimento sulle decisioni di fondo, modello spagnolo, incontra un forte vincolo.
Ho saputo che ha incontrato degli utenti del nostro forum nella trasferta di Bologna. Il rapporto diretto coi tifosi non è poi così male...
Come dicevo all'inizio, non vivo in una torre di avorio, sono anni che incontro e discuto con i tifosi, ed ogni volta se ne conoscono di nuovi. Nello specifico mi è costato una maglietta ma era simpatico.
Gira voce che ci siano dei legami abbastanza assortiti fra l'US Lecce e Pantaleo Corvino. Ora, a meno che non si vogliano screditare i giornalisti nazionali che hanno messo in circolo determinate notizie, vorremmo saperne qualcosa in più anche noi.
Nessuno per quanto sia bravo come giornalista è depositario della verità; stiamo ai fatti: ad oggi con la Fiorentina abbiamo effettuato in quattro stagioni il prestito di Papa Waigo e il figlio, agente di calciatori, ha in procura un solo calciatore della attuale rosa di prima squadra. Mi sembra un po' poco per giustificare questo "legame assortito". E poi, le pare possibile che persone che hanno gestito realtà complesse come una Banca mettano soldi ogni anno per farsi fare le strategie da un altro, chiunque esso sia?
Pensando al futuro: come lo vede il Lecce, e come devono vederlo i tifosi giallorossi?
Un grande allenatore di baseball diceva "è diventato difficile fare previsioni perché il futuro non è più quello di una volta". Cosa succederà è legato alla volontà della famiglia Semeraro di proseguire negli anni questa avventura nel calcio, o alle intenzioni di chi dovesse subentrare. Nel passato con grandi sacrifici economici e impegno di lavoro si sono vissute forti emozioni e qualche delusione, ma il sistema intorno a noi sta cambiando e va in una direzione che non mi piace. La nascita della Lega di A e il disegno dei principali club di un calcio legato ai grandi nomi, ai palcoscenici prestigiosi e, gioco forza, ai maggiori centri urbani mi sembrano l'anticamera di una super lega europea e di tornei sempre più vicini ad una visione spettacolare che poco spazio lascia a realtà come la nostra.
Pensa che questo confronto tra società e tifosi, con questi ultimi che individuano i temi di discussione, sia un'esperienza da ripetere?
Per me può diventare anche un appuntamento fisso.

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